Il Friuli e l’Orcolat
Published by Elena Feresin on
Il Friuli e l'Orcolat

Il 6 maggio 1976 è la data che nessun friulano potrà mai dimenticare. In quella data il Friuli Venezia Giulia venne colpito da un violento terremoto, l’Orcolat, che distrusse ampie zone della regione.
Dalla tragedia il Friuli Venezia Giulia è rinato come una fenice. Qui sotto trovi alcune delle storie che ruotano attorno a quella sera di maggio del ’76 e una piccola riflessione personale.
Mancava solo l’anguria in quella pigra e afosa serata d’inizio maggio.
La famiglia di Mario, i genitori più la sorella Anna con il marito e i due figli, era raccolta attorno al tavolo per la cena. Le finestre erano spalancate e dall’esterno entrava il nervoso abbaiare dei cani.
La stanza sembrava una sagra di paese.
Mamma ed Anna facevano versi strani e parlavano con vocine stridule rivolte ai bimbi.
Papà e il marito di Anna sedevano flaccidi e sudati ai due capi del tavolo e con una sigaretta tra le dita si urlavano le ultime novità calcistiche. Pareva che il completamento del nuovo stadio di Udine fosse imminente.
Nessuno era intenzionato ad alzarsi eccetto Mario.
Il suo corpo era lì ma la mente era già nel futuro, nella sua stanza con il nuovo mangiacassette e la musica dei Pink Floyd.
Posò la forchetta al lato del piatto, spinse la montatura degli occhiali sul naso appiccicaticcio poi lanciò un’occhiata al grottesco orologio a cucù vicino alla porta.
“Posso alzarmi?” domandò.
Suo padre aspirò dalla sigaretta. “Sparecchia prima.”
Mario impilò i piatti uno sull’altro e li portò in cucina. Raccolse i tovaglioli e le briciole lasciando in tavola solo i bicchieri e il vino.
“Vai vai.” Acconsentì infine suo padre.
Mario corse in camera, chiuse la porta e si sedette a gambe incrociate davanti al giradischi. Prese il suo nuovo mangiacassette portatile e lo collegò. La registrazione partì con un click secco. Erano quasi le nove quando i Pink Floyd si librarono nell’aria.
Mario chiuse gli occhi. Non voleva che la vista disturbasse l’udito. Shine on you Crazy Diamond era in puro contrasto con il chiasso che aveva lasciato nella sala da pranzo.
Bum.
Mario aprì gli occhi e sbuffò. La canzone era partita da poco e già lo richiamavano in cucina. Sbattè i palmi sudati sul pavimento, ma l’ira venne subito attutita dalla moquette e da un altro bum più sommesso, che gli fece scivolare un brivido lungo la schiena.
Lasciò tutto com’era e andò in cucina. “Mamma, hai sentito anche tu?”
L'Orcolat nelle profondità della Carnia

Tanto tempo fa, nei boschi della Carnia abitava un uomo mastodontico, nerboruto e lunatico. Era così grande e peloso che la gente lo aveva correttamente definito un gigante. Era un tizio solitario e viveva rintanato in una grotta alle pendici di una montagna.
Non era cattivo ma il suo aspetto incuteva troppo timore perché le persone normali potessero considerarlo innocuo. Così ignorato, il gigante aveva finito per odiare la gente, e la gente per odiare lui.
Lui di certo non si impegnava per far cambiare idea ai paesani. Anzi, il più delle volte approfittava delle sue dimensioni ciclopiche per saccheggiare e infastidire i paesi limitrofi. Per lavarsi, ad esempio, sceglieva sempre i fiumi più vicini ai villaggi e puntualmente li faceva esondare. Se doveva starnutire, lo faceva in direzione dei paesi e con un solo ecciù scoperchiava interi rioni.
Il gigante rimase non poco sorpreso quando il matto del paese si presentò davanti al suo antro con dieci botti di vino e un mazzo di carte.
Tite, così si chiamava l’uomo, era stato mandato dal gigante per negoziare una tregua a colpi di briscola. Se avesse vinto il gigante, avrebbe potuto continuare a infliggere angherie ai villani e scolarsi tutte le scorte di vino del paese. Se avesse vinto Tite invece, il gigante avrebbe dovuto comportarsi in maniera civile.
Il gigante non aveva mai giocato a Briscola ma la fortuna del principiante lo assistette durante la gara. Tite perse ogni partita ma era così matto da diventare più allegro dopo ogni sconfitta. Dopo diversi tentativi, Tite alzò bandiera bianca e ben presto, come promesso, al gigante furono portate altre botti di vino che l’omone si scolò in poche sorsate.
Non si era mai sentito così invincibile, euforico e… assonnato. Il vino gli aveva annebbiato la mente e le vittorie lo avevano ubriacato facendolo cadere in un sonno profondo.
Il gigante si risvegliò di soprassalto. Quando aprì gli occhi ci mise un po’ a capire dove si trovava e perché fosse così buio. Era nella sua grotta, vero, ma qualcosa era diverso. Nelle giornate di primavera un refolo di vento si faceva sempre strada tra le rocce portando il profumo del muschio e della terra umida. Ora la sua caverna odorava di polvere e muffa e del refolo primaverile non c’era traccia.
Il gigante si alzò e barcollò fino alla bocca della caverna.
Era chiusa da un cumulo di pietre. Vicino all’uscio, trovò un fiasco di vino e un mazzo di carte.
Capì in quel momento di essere stato ingannato. La rabbia si fece strada nel suo corpo, gli ingrossò le vene del collo, il volto divenne rubicondo e incandescente.
Urlò. Il suo era un lamento profondo, roco e arrabbiato. Strinse i pugni e si gettò sul cumulo di pietre che ostruivano il passaggio, ma non accadde nulla.
Ci provò di nuovo con maggiore forza ma anche questo tentativo fu inutile. Si allontanò, studiò la parete e ci provò ancora ma il suo corpo e la sua mente avevano già capito che quell’energia veniva emanata invano. Il gigante tornò nell’angolo più remoto del suo antro e si acquietò.
Il gigante sapeva di non poter fare molto altro. Lasciò passare del tempo, cercò dei punti deboli in quell’impresa titanica che i paesani avevano costruito durante il suo sonno. Alcune volte però perdeva la pazienza e si accaniva su quel muro di pietra senza scalfirlo di un millimetro.
Dopo la partita con Tite non ebbe più contatti con gli umani.
Eppure, durante una delle sue scenate, avrebbe potuto giurare di aver sentito una flebile voce dire.
“Cuietiti, Orcolat”. (Calmati, Orcolat!)
Una delle sfuriate del gigante Orcolat coincise con la sera in cui Mario era nella sua cameretta a registrare i Pink Floyd.
6 maggio 1976, ore 21

Mario non registrò solo uno dei brani più importanti della storia della musica. Registrò la voce cavernosa dell’Orcolat che con la sua rabbia distrusse il Friuli.
6 maggio 1976.
È una data che in Friuli tutti conoscono. È stampata nella mente di ogni friulano che era vivo allora e nelle generazioni successive.
L’Orcolat, forse più della guerra, ha segnato la storia e la memoria di questa terra di confine. La guerra dopotutto è fatta dagli uomini, è una bestia domabile. Ma come combatti la natura? Come sconfiggi un Orcolat?
Non lo fai. Puoi solo accettarne le conseguenze e rimboccarti le maniche per limitare i danni.
È una cosa che sappiamo fare bene noi friulani, rimboccarci le maniche e dopo quel 6 maggio 1976 lo abbiamo fatto, nonostante l’Orcolat abbia provato a rendere vani gli sforzi fatti con due ulteriori scosse l’11 e il 15 settembre 1976.
Prima le fabbriche, poi le case e infine le chiese

Siamo un popolo testardo che quando si mette in testa qualcosa la porta a termine. Tutti ripetevano quella frase fino allo sfinimento, e tutti lavoravano all’unisono verso quel sogno di normalità e di riscatto.
Ce l’abbiamo fatta.
Le case ordinate e ben ristrutturate da quintali di cemento e intonaco non sono che un tatuaggio che prova a mimetizzare una cicatrice profonda e mai rimarginata del tutto.
La leggenda narra che l’Orcolat sia rinchiuso nel ventre di un monte, il San Simeone, e paradossalmente è proprio un’altra montagna a rivelare l’unica crepa nella perfetta ricostruzione Friulana.
Il monte Amariana è la prima vetta che si incontra arrivando dalla pianura, come un mastino a guardia delle Alpi. Ha la forma di una piramide la cui unica imperfezione è buco a pochi metri dalla cima. L’unico sfregio rimasto di quella sera, l’unico muro che nessun muratore riuscirà a riparare.
Ogni 6 maggio, il mio cuore Friulano si riempie di orgoglio ma allo stesso tempo si pone una domanda. Saremmo in grado di rifare quello che hanno fatto loro?
Una sola risposta mi salta in mente: Il Friûl al ringrazie e nol dismentee (Il Friuli ringrazia e non dimentica)
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