I bastardi e il passero
Published by Elena Feresin on
I bastardi e il passero

Qesta storia è stata scritta seguendo il seguente Prompt di Reedsy. Puoi seguirmi anche lì, cerca Elena S. Kodermaz.
Scrivi una storia che finisce con un personaggio che aspetta l’arrivo di un altro.
Quei maledetti bastardi saranno furiosi.
Realizzò Murphy mentre scrutava orgoglioso la stanza e ammirava il disastro da lui creato. Si leccò i baffi e gustò il sapore ferroso del sangue, la sapidità succulenta che aveva bramato per tutti quegli anni di prigionia. Il caos era un semplice effetto collaterale che non sminuiva la sua gloria.
Scivolò sinuoso sulle scale, un gradino alla volta, soffice e splendente come uno scampolo di velluto e perlustrò la sala da pranzo.
Sulla sinistra, l’adorato sofà a fiori ocra di Janet era ancora intatto, grazie alla sua mania ossessivo compulsiva e alla pellicola di plastica con cui lo aveva ricoperto. Murphy era sicuro che ad uno sguardo attento, alcuni piccoli dettagli avrebbero potuto far trasparire che le sue unghie avevano in effetti toccato quel sacco della spazzatura di un divano, ma aveva altre cose di cui preoccuparsi.
C’erano due oggetti che Janet e quel buono a nulla di suo marito veneravano più di ogni altro: la TV e la Bibbia.
Era in tale ordine specifico che Murphy aveva distrutto entrambe mentre rincorreva quell’uccello così appetitoso. Il rettangolo nero che Phil aveva pagato più di uno stipendio era accasciato a faccia in giù sul tavolino di vetro e acciaio al centro della stanza. Come se non fosse abbastanza, Murphy vi sgusciò sotto e vide una crepa proprio al centro dello schermo.
La Bibbia, invece, beh, la Bibbia ammuffita dalla cover verdastra che era appartenuta alla bisnonna di Janet e risaliva al tardo 1800, era strappata e aveva perso un buon numero di pagine. Doveva essere caduta all’inizio dell’inseguimento e Murphy era certo di esserci passato sopra diverse volte.
L’uccello, un passero particolarmente grasso, aveva fatto il resto. Vasi, foto incorniciate e altri ninnoli erano tutti rotti e riversi a terra. I fiori stavano esalando gli ultimi respiri e c’era un significativo cumulo di piume grigio-beige sul pavimento.
Grazie a Dio era stato abbastanza abile da non lasciare tracce di sangue. In ogni caso, se i due bastardi l’avessero ritenuto responsabile per quel disordine, avrebbe anche potuto dire addio ad una delle sue nove vite.
Murphy non credeva di avere alcuna colpa. Erano stati loro a lasciare la finestra aperta, dopo tutto, e sempre loro che quindi avevano lasciato entrare l’uccello.
Cosa si aspettavano? Che sarebbe rimasto impassibile sulla sua sedia come il bravo gatto che credevano fosse? Pensavano davvero che avrebbe resistito alla carne vigorosa di un passero abituato a volare, quando l’unica cosa che gli davano da mangiare erano quei surrogati di plastica che avevano l’indecenza di chiamare cibo?
Murphy lanciò un’occhiata al timer del forno che indicava le 10:50 e iniziò a contare.
I bastardi erano alla messa domenicale delle 10, il che significava che sarebbero stati impegnati a pregare per altri dieci minuti buoni. Altri dieci per i gossip sul sagrato e cinque per guidare sino a casa. Aveva quindi poco meno di mezz’ora per sbarazzarsi delle piume e pianificare il modo per far ricadere tutta la colpa su quel bisognoso labrador senza cervello che i bastardi amavano così tanto.
A proposito di Boris, il labrador, era ancora addormentato davanti alla porta d’ingresso della cucina, in attesa che i bastardi tornassero a casa a coccolarlo. Murphy era conscio di dover calcolare molto bene le tempistiche, in modo da svegliare Boris solo pochi istanti prima che Janet e Phil rientrassero in casa, altrimenti il cane avrebbe trovato il modo di vendicarsi.
Murphy si rimboccò le maniche e iniziò il lavoro sporco: ripulire le piume. Le radunò a coppie e le trascinò verso il corridoio che portava al garage dove Phil aveva costruito un enorme armadio per custodire vecchie scarpe, scope e altre cianfrusaglie inutili che nessuno usava più. Quel piccolo lavoro di carpenteria era probabilmente la migliore idea che avesse mai concepito poiché, per fortuna di Murphy, Phil aveva lasciato un’intercapedine tra il retro dell’armadio e il muro dove il gatto poteva nascondere qualsiasi cosa volesse.
Murphy viaggiò avanti e indietro molte volte per nascondere tutte le piume. Nell’ultimo tratto, spinse una delle palle da tennis di Boris al centro della stanza.
Quando il timer del forno sibilò, Boris grugnì e le campane iniziarono a suonare le undici.
Dieci minuti.
Murphy prese in bocca la carcassa dell’uccello. Accidenti, se era stato un buon pranzo. Lo trasportò al piano di sopra e nel percorso emise un miagolio gutturale direttamente dalle corde vocali. Anche se morto e ormai privo di quello sprazzo di vita che gli aveva causato tanta gioia, l’uccello era stato un buon diversivo.
Per un attimo, mentre si dirigeva verso il bagno nella stanza da letto di Phil e Janet, dove la donna aveva lasciato un’altra finestra aperta, contemplò l’idea di lasciare il cadavere sul cuscino di Janet per farle sapere quanto la detestava, ma resistette. L’ultima volta che aveva provato a mostrarle la sua ferocia uccidendo una lucertola, Janet aveva pensato che si trattasse di un regalo e, Murphy rabbrividiva ancora al pensiero, lo aveva baciato.
Murphy entrò in bagno e si arrampicò sulla vasca per raggiungere la finestra dove finalmente lanciò la carcassa fuori dalla casa, nell’aiuola di sotto.
Poi li vide.
La macchina.
I bastardi.
Erano quasi a casa.
Il suo cuore mancò un battito e il pelo gli si rizzò sulla schiena.
Perchè non potevano essere noiosi e prevedibili come sempre? Perché avevano dovuto modificare la loro ruotine QUEL GIORNO?
Murphy atterrò sul pavimento del bagno con un salto elefantino. Le quattro zampe inciamparono sul tappeto lercio e sfilacciato e per un istante corse sul tessuto senza muoversi di un centimetro.
Si affrettò fuori dalla porta e giù dalle scale.
La sua mente era così confusa che sbattè su qualsiasi cosa si trovasse sulla sua strada, porte, corrimani, un mobiletto, saltò anche sull’adorato sofà a fiori ocra di Janet proprio nel mezzo dello schienale e alla fine atterrò in cucina dove si fermò ad ascoltare.
I bastardi avevano parcheggiato ed erano quasi sul vialetto.
Murphy anticipò le loro mosse con il pensiero.
Due secondi per arrivare davanti all’auto. Cinque secondi per percorrere il vialetto di pietre bianche.
Tra i dieci e i quindici per trovare le chiavi.
Cinque secondi per capire quello che era successo in loro assenza.
Murphy doveva essere ormai nascosto a quel punto.
Due secondi.
Murphy si avvicinò a Boris e gli accarezzò sinuosamente il naso con la coda grigio chiaro, ma lo stupido cane non si svegliò, anzi grugnì soddisfatto.
Cinque secondi.
Il gatto riusciva a sentire i passi affrettati di Phil e Janet. Stupido cane sordo. Murphy doveva stimolarlo in altro modo.
Dieci secondi.
Distanziò il cane di qualche passo, appiattì il corpo sul pavimento, le vibrisse riverse in avanti. Alzò il sedere di qualche centimetro, lo mosse freneticamente e accelerò verso il cane, gli atterrò sullo stomaco e risaltò sul terreno.
Cinque secondi.
Boris abbaiò disperato ma Murphy era già fuori dalla cucina e sulle scale, diretto verso la sua poltrona preferita nella camera degli ospiti.
Si arrotolò in forma sferica e chiuse gli occhi.
Avrebbe potuto sembrare addormentato da molto tempo, ma il suo cuore batteva forte nel petto in attesa.
Quei maledetti bastardi sarebbero stati furiosi.
Se il racconto ti è piaciuto, oppure no, fammi sapere cosa ne pensi.
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