La Baita
Published by Elena Feresin on
La Baita

Questa storia è stata scritta seguendo il seguente Prompt di Reedsy. Puoi seguirmi anche lì cercando Elena S. Kodermaz.
Scrivi una storia che si svolge all’interno di un circolo di scrittori.
Tutto ciò che bramavo erano lettori.
Sono uno scrittore, qualsiasi cosa tale parola significhi, ma non ho lettori. Non ho modo di sapere se ho delle capacità di letterarie reali o se sono solo un uomo a cui piace essere cullato dalla magia incapsulata nella parola “scrittore”.
Ho iniziato a scrivere quando ero molto giovane e ho speso buona parte della mia adolescenza preferendo la sola compagnia dei libri a quella degli esseri umani. Arrivato all’università avevo già scritto un romanzo ed ero sulla buona strada per finire il secondo. Scrivere ed essere pubblicato era il mio obiettivo numero uno e mi sembrava che tale ambizione mi mettesse in una posizione di superiorità rispetto ai miei coetanei.
Da allora, ho contattato diverse case editrici, ovviamente, ma ho sempre ricevuto porte in faccia e una serie di “no grazie”. I soli lettori che ho sono mia madre e il mio fidanzato. Il loro parere è positivo, ma so di non poter affidarmi al loro giudizio.
Quando ho avuto l’idea per il gruppo di lettura e scrittura avevo appena superato i trenta e avevo un impiego come manager nel marketing e comunicazione. Amavo molto il mio lavoro ed ero anche bravo ma, grazie ad esso, non mi ero mai avvicinato di un millimetro all’ambizione della mia vita. Non avevo un contratto editoriale, ero colmo di dubbi sulle mie capacità e mi sembrava di aver deluso tutti i miei sogni da diciassettenne. Avevo un blocco dello scrittore e potevo ancora contare sui soli due ammiratori prima menzionati.
Ero avvilito, quindi decisi di crearmi da solo un pubblico. Iniziò tutto con un messaggio scritto su di un brandello di carta sgualcito che appesi alla bacheca della biblioteca. Ancora una volta, avevo il supporto di mia madre e del mio ragazzo ma, proprio come con i miei libri, mi mancava la giusta fiducia nella mia idea e credevo che nessuno si sarebbe presentato al primo incontro nella sala da tè locale chiamata “La Baita”.
Nell’annuncio avevo scritto che ero in cerca di persone che condividessero la mia passione per i libri e la scrittura, ma mentivo. Come avrete probabilmente intuito, cercavo qualcuno che apprezzasse le mie storie. Desideravo consenso.
Potete quindi immaginare la mia ansia mentre sedevo a quel tavolo, avvolto nel mio trench viola di Burberry, in attesa.
Erano passate da poco le 18.30 quando una signora sui settant’anni, composta ma materna, si presentò. Era vestita di tutte le tonalità di beige e trasportava una capiente borsa a fiori. I suoi capelli, un mix di bianco e cognac, erano pettinati in un ordinato chignon. Le sue labbra erano serrate in un sorriso imbarazzato ma i suoi occhi blu esprimevano lo stesso bisogno che trovava casa negli angoli più remoti del mio cuore.
“Tesoro,” Disse in una voce melliflua, “se qui per il gruppo di lettura?”
Io annuì meravigliato.
“Bene.” Si sedette davanti a me ed estrasse dalla borsa un block notes, un’antica penna stilografica e attese che io facessi la mia mossa. Io, invece, così assorto nel desiderio di essere scoperto, avevo portato solo le stampe dei miei libri. Non mi era nemmeno venuto in mente di portare una penna. Credo che quella sia stata la prima lezione insegnatami da Annarita: per essere un bravo scrittore devi essere innanzitutto un buon ascoltatore.
Quella sera, alla Baita eravamo solo io e lei. Per rompere il ghiaccio decidemmo di parlare dell’ultimo libro letto e sorprendentemente, scoprimmo che nonostante la differenza d’età, 70 e 32, il diverso orientamento sessuale, etero e gay, la diversa occupazione, casalinga e manager, il suo spirito e il mio erano fatti della stessa sostanza.
Io e Annarita ci incontrammo da soli per numerosi mercoledì di fila e per parecchie riunioni le nostre abilità di scrittura rimasero nascoste. Gradualmente, man mano che la fiducia aumentava, ci sentimmo più a nostro agio nel denudare il nostro io più segreto e a parlare dei nostri lavori. Così arrivò anche la seconda lezione di Annarita: non devi necessariamente studiare letteratura per essere un bravo scrittore.
Annarita si era sposata appena diciottenne con un uomo che le aveva sempre impedito di perseguire un qualsiasi tipo di carriera o di lavorare in generale. Annarita comprese presto che la sua vita con un marito del genere sarebbe stata un incubo. Tuttavia, non molto tempo dopo il matrimonio, rimase incinta e appena qualche mese dopo la nascita del primo figlio ne arrivò un secondo e poi un terzo. Partorito anche il quarto pupo, Annarita sapeva di non avere più via d’uscita. L’unico modo che aveva per scappare era leggere e scrivere. La sua passione per i libri era di pubblico dominio mentre la scrittura era qualcosa che teneva solo per sé.
Una volta vedova, Annarita aveva trovato il coraggio di avvicinarsi al gruppo di scrittura e leggere i suoi lavori a voce alta.
Quando aveva iniziato a narrare ero rimasto estasiato. Non potevo credere che una donna con un simile passato potesse scrivere con tale stile. Descriveva in modo schietto ma molto vivido e figurativo. Le sue storie spaziavo nei temi più disparati ma lasciavano sempre un alone di speranza. Avevo sempre odiato che qualcuno leggesse per me, ma con Annarita era impossibile perdersi persino una virgola. Creava un mondo intero con le sue parole e ti teneva prigioniero fino a quando lo desiderava.
Io, nel frattempo, mi sentivo un fallito perché capivo che le mie doti di scrittore erano pessime se comparate alle sue. Non avrei mai raggiunto un tale livello di perfezione. Annarita non era della stessa opinione. Le piacevano i miei lavori e mi supportava ogni volta che mi sentivo preso dallo sconforto.
Dopo un paio di mesi, il nostro duo divenne un trio con l’arrivo di Claudio e, per la strana regola che gente porta gente, dopo Claudio, ne arrivarono altri.
Stavo finalmente ottenendo quello che avevo sempre voluto. Tutti erano entusiasti della mia prosa. Mi adoravano e amavano il mio modo di vedere le cose. Tuttavia, ciò non mi dava la gioia che avevo sperato. Claudio e gli altri erano scrittori molto deboli, ne ero consapevole. Ero osannato da persone che non conoscevano di meglio.
A rendere le cose ancora peggiori, forse paralizzata dalla folla, Annarita smise di raccontare. Veniva agli incontri e dava i suoi consigli saggi ma le storie fantastiche che avevo tanto amato quando eravamo soli sparirono.
Un giorno, quattordici mesi dopo l’inizio dell’avventura, Annarita non si presentò all’incontro. Era la prima volta che saltava senza avvisare e anche se tutto fluì alla perfezione, quel pomeriggio, ero scosso dalla sua assenza e provavo una strana sensazione.
Annarita morì il 13 gennaio 2010. Era appena uscita di casa per raggiungerci alla Baita quando una macchina l’aveva investita sulle strisce pedonali. C’era ghiaccio sul fondo della strada e l’autista, pur andando piano, aveva perso il controllo del mezzo. Non c’era stato niente da fare.
La sua morte mi colpì duramente. Spesi molto tempo a domandarmi quale fosse il senso della vita e per tanti giorni non trovai risposte. Il gruppo della Baita si incontrò per l’ultima volta il mercoledì successivo al suo funerale, poi morì come il suo silenzioso ma fondamentale pilastro.
Visitavo spesso la tomba di Annarita e durante una di queste visite incontrai il suo primo figlio. Era come se mi aspettasse. Si avvicinò e mi consegnò la borsa a fiori della madre. “Voleva che l’avessi tu con tutto il suo contenuto.” Disse Paolo. “Ci proibiva rigorosamente di vedere cosa c’era dentro. È tutto nelle tue mani.” Concluse prima di lasciare il cimitero.
Rimasi lì, davanti alla tomba che Annarita condivideva con l’odiato marito, con la borsa in mano e tremolii in tutto il corpo.
Una volta a casa, lasciai la borsetta nascosta in un armadio per molto tempo prima di trovare il coraggio di aprirla. All’interno c’erano molti fogli scritti nella calligrafia pulita di Annarita. Un post-it sul plico più grande diceva: Rendilo pubblico.
Il cuore mi batteva mentre leggevo le prime pagine. Era scritto in terza persona ma sapevo che Annarita era la protagonista.
Mi guardai attorno e decisi che la mia casa non era il posto adatto per leggere la sua storia quindi mi recai alla Baita.
Mi sedetti nell’angolo che era diventato del nostro club, lontano dal chiasso della folla, e iniziai a leggere ad alta voce. Non mi interessava quello che gli altri potevano pensare, sentire la mia voce raccontare la sua storia faceva sembrare che Annarita fosse ancora lì.
Il romanzo narrava le avventure di una ragazza che si scopre attratta dalle donne ma che rimane intrappolata nel più banale dei matrimoni. Alla fine, la protagonista trova il coraggio di innamorarsi di una compaesana ma continua a vivere quell’amore come un peccato e un tradimento non solo nei confronti del marito, ma anche dell’idea che i suoi genitori avevano sempre avuto di lei.
Capii, tra le lacrime, che questa era la ragione per cui io e Annarita ci sentivamo così simili.
“La storia è molto toccante.” Sentii una donna dire dal tavolo vicino. “L’hai scritta tu?”
La guardai senza capire, senza nemmeno rispondere. La donna mi diede il suo biglietto da visita. “Ho una riunione tra cinque minuti ma vorrei che mi mandassi quel romanzo dicendo che sei il ragazzo della Baita.” Spiegò.
Fissai il biglietto con il cuore in gola. La donna, Isabel Cooper, era la editor di una delle migliori case editrici del paese.
Finalmente ero stato ascoltato, ma parlavo con una voce non mia.
Fui combattuto sulla decisione di pubblicare la storia di Annarita a mio nome, ma lei desiderava che fosse resa pubblica, dopotutto.
Alla fine, credo che abbiano vinto le mie ambizioni adolescenziali e una volta inviato il romanzo alla Signora Cooper non ho più menzionato il nome di Annarita. Non ho mai parlato di lei quando mi hanno chiesto l’ispirazione per una storia così straziante, non l’ho mai menzionata mentre rispondevo a interviste e presentazioni.
Devo ammettere che a volte mi vergogno, ma i romanzi che ho pubblicato dopo quello di Annarita sono stati altrettanto di successo, anche se tutti si sono meravigliati del repentino cambio di stile.
Ho ottenuto i lettori e l’approvazione che volevo.
Potreste dire che sono un bugiardo ma ho semplicemente omesso parte della storia della mia vita. Ho mischiato le carte in tavola e riscritto quello che non mi piaceva, come dovrebbe fare ogni bravo scrittore.
In qualche modo sono riuscito a riscattarmi con Annarita però. Con i proventi del nostro libro ho comprato la Baita, ho posizionato una sua foto proprio sopra il nostro angolo preferito e fondato un altro gruppo di scrittura creativa. In suo onore.
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